Nel 135° della CRI di Cassine ammirazione per Massimo Barra
Cassine. Sabato 15 giugno il Comitato CRI di Cassine ha voluto celebrare, nella data che segnava il 160° compleanno della Croce Rossa, anche il proprio 135° di fondazione, che lo rende uno dei comitati più antichi del Piemonte.
Vista la solennità di questo duplice anniversario, è stato organizzato un importante evento, che si è svolto nel corso della mattinata presso la monumentale chiesa di San Francesco.
Il Presidente del Comitato CRI di Cassine, Matteo Cannonero, da poco rieletto per il suo terzo mandato, ha organizzato un evento di formazione al quale sono intervenuti numerosi membri del Direttivo Nazionale.
L’ospite d’onore, ed il più atteso, però, era sicuramente il prof. Massimo Barra, già Presidente Nazionale della CRI e Presidente Emerito del Movimento Internazionale di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa, unico italiano di sempre a capo della Croce Rossa a livello mondiale.
Straordinario rappresentante della Croce Rossa e dei suoi valori, Barra, che è entrato nell’organizzazione all’età di appena otto anni, non ha deluso le attese con un intervento di altissimo livello, che ha affrontato l’importanza per la Croce Rossa di essere sempre al passo coi tempi e con le loro sfide, ma allo stesso tempo sempre fedele ai propri valori.
«Panta rei: tutto scorre. Non è detto che ciò che è stato fatto fino a oggi sia giusto per domani. Sono i giovani a doverci dire che direzione prendere», ha affermato Barra. Che ha aggiunto.
«Mi piace considerare una cosa: i Dieci Comandamenti sono fatti di 279 parole; la dichiarazione americana di Indipendenza è fatta di 300 parole. Le disposizioni europee per l’import delle caramelle sono fatte da 25.911 parole. A mio parere è meglio essere brevi.
Non per niente Nostro Signore diceva dite “Sì sì – no no. Il resto è del diavolo”».
Quindi, alcune considerazioni sulla Croce Rossa in ambito internazionale.
«Parliamo del movimento internazionale della Croce Rossa e della Mezza Luna Rossa, perchè è il modo più corretto di definire la cosa. Croce Rossa Internazionale in realtà non esiste: Croce Rossa e Mezza Luna Rossa stanno “on equal footing”, cioè hanno pari dignità e non hanno, nonostante quel che si pensa, significati religiosi.
E infatti, si badi bene, per anni era stato escluso Israele, che ha la Stella di David Rossa, ma la ragione non era religiosa, bensì il fatto che la stessa Stella di David, a differenza di croce e mezzaluna, si trova anche sui carri armati. Si è quindi arrivati a un nuovo emblema, il Diamante Rosso. E queste sono considerazioni che dimostrano quanto è complicato anche fare del bene».
Ma quali sono le nuove sfide che la Croce Rossa si trova davanti? Eccone una.
«Nel mondo gli attori sono da un lato i governi, dall’altro la società civile. E noi non siamo una Ong, e non siamo nemmeno un Terzo Settore, perchè fra le organizzazioni della società civile e la Croce Rossa c’è una differenza: la Croce Rossa è ausiliaria dei pubblici poteri. Ausiliari non vuol dire confusi coi principi politici.
Un esempio? Nel conflitto fra Israele e Palestina, chiunque abbia un incarico politico deve fare 50-50. Mi spiego: se un’autorità va a Tel-Aviv deve andare a Ramallah. Se si parla delle cattiverie di una parte si devono ricordare quelle degli altri. Questo è un criterio politico.
Il criterio umanitario che noi portiamo avanti, invece è contenuto nel principio di imparzialità, che contiene in sè il criterio di proporzionalità. L’aiuto deve essere dato in rapporto alle necessità, non al criterio politico. Se i bisogni sono 90% e 10%, noi non diamo 50% e 50%, ma diamo 90% a chi ha più bisogno e 10% a chi ne ha meno. Noi siamo ausiliari, ma non ci confondiamo, non possiamo confonderci con le autorità. E le autorità non possono chiederci di andare contro il principio di indipendenza.
Noi obbediamo alle leggi di un Paese, ma nel rispetto dei principi fondamentali. E questo deve essere un faro che ci illumina di fronte alle difficoltà e alle contraddizioni del quotidiano».
Quindi un primo dubbio.
«La Croce Rossa da anni utilizza un atteggiamento estremamente discreto necessario per operare in zona di guerra. Questa discrezione oggi è ancora opportuna e attuale? Dobbiamo dare più pubblicità a quello che facciamo? Non è una domanda oziosa: per esempio quando ci fu lo scandalo delle prigioni di Abu Ghraib, il comitato internazionale era andato a visitare le prigioni, e aveva visto le nefandezze che venivano fatte. E aveva anche fatto rapporto all’autorità che aveva Abu Ghraib sotto il suo comando. Ma non era successo nulla. Per caso il rapporto finì poi sul Wall Street Journal e Abu Ghraib è stato chiuso. E allora dobbiamo dare pubblicità a quanto facciamo? Sembrerebbe di sì. Ma io dico: se abbiamo accesso alle prigioni di tutto il mondo, per incontrare mezzo milione di prigionieri di guerra e prigionieri politici ogni anno, il contraltare è che stiamo zitti per ciò che vediamo. Se diventassimo una organizzazione di denuncia, pur con fini nobili come Amnesty International, è probabile che per rappresaglia non ci farebbero entrare in contatto con i prigionieri. E chi ci perderebbe? I prigionieri.
Dunque è difficile capire. Bisogna capire se è caso di modificare i nostri protocolli, perchè non siamo più alla battaglia di Solferino, ma siamo nell’era moderna, l’era delle fake news. E io con l’intelligenza artificiale non so cosa sarà… ma ho paura di quel che sarà. Pensate in condizioni di guerra in cui i governi studiano come inquinare i terreni di guerra con false informazioni. Il cittadino che deve fare? E la Croce Rossa, che deve fare? Questo è il primo dubbio che dobbiamo porci».
Poi un secondo dubbio:
«Il secondo dubbio riguarda il bipolo fra coraggio e temerarietà. Siamo abituati che quando c’è un conflitto siamo i primi ad arrivare e gli ultimi ad andar via, protetti solo dagli emblemi. Una volta si diceva “non si spara sulla Croce Rossa”. Oggi sì. Dall’inizio dell’anno abbiamoa vuto 20 morti. Siamo temerari? O dovremmo stare chiusi negli headquarters? Dobbiamo rimanere a casa? Dobbiamo creare una milizia che protegga la Croce Rossa? In tutti questi casi non saremmo più la Croce Rossa. E allora? Qual è la strada giusta? Io so che noi siamo nati per dare attuazione al principio di umanità. Siamo i tutori e i diffusori di questo principio».
E il messaggio finale:
«All’ingresso del museo internazionale della Croce Rossa c’è una frase di Dostoevskij: “Ognuno è responsabile di tutto di fronte alla storia”. E la storia un giorno giudicherà i nostri comportamenti. Quelli attivi e anche quelli omissivi, perchè magari a volte per fare una vita tranquilla uno non si espone. Dobbiamo tener presente che il nostro faro è l’umanità, e soprattutto, non ci dobbiamo rassegnare.
A Natale ho fatto un seminario a Teheran, sulla riduzione del danno da droga. Sappiamo tutti l’Iran come è messo politicamente: ebbene, un ayatollah ha fatto un discorso sul tema, dicendo cose che avrei potuto dire io sulla politica umanitaria sulle droghe. In Iran!
Per questo dico che non bisogna rassegnarsi. Noi abbiamo un grande potere, il potere dell’umanità. Vi sollecito ad esserne fieri, orgogliosi e anche propagatori verso i più giovani».
L’applauso convinto dell’intero uditorio ha accompagnato il discorso. E il prof. Barra, recentemente insignito della medaglia Dunant, il più alto riconoscimento a livello mondiale per il movimento di Croce Rossa e Mezza Luna Rossa, ha ricevuto contestualmente dalle mani di Matteo Cannonero una simbolica, ma significativa attestazione, rilasciata dal Comitato di Cassine, in cui gli si attribuisce il titolo di “Ambasciatore di pace”.
M.Pr.