I ricordi resistenziali di un bambino oggi giornalista in pensione: l’ultimo saluto di un padre al figlio partigiano
Ovada. Durante la Settimana Santa del 1944 (5 – 11 aprile), l’esercito tedesco, impiegando circa cinquemila uomini e armi e mezzi bellici di ogni tipo, organizzò un massiccio rastrellamento contro i partigiani rifugiatisi nella zona della Benedicta.
Nel corso del combattimento, 147 partigiani furono catturati e poi fucilati sul posto e gettati in un “canalone” e 366 furono deportati, come lavoratori coatti, a Mauthausen, da dove fecero ritorno in meno di 200.
Fu la più grande “strage di partigiani” della storia della Resistenza in Italia. Fu quella una settimana in cui le popolazioni di molti paesi della zona vissero giorni di dolore, di paura, di angoscia.
Con i suoi genitori e la sorellina Maria Ilda, un bambino di 7 anni abitava a Carrosio, un paese poco distante dalla Benedicta. La scuola elementare era chiusa per le festività pasquali ed il 7 aprile, quando iniziarono a passare gli autocarri dei tedeschi strapieni di partigiani da deportare in Germania, il bambino era seduto sul gradino davanti alla vetrina del negozio di alimentari e di articoli casalinghi che gestivano sua mamma Caterina e papà Mattia.
Al passaggio di uno dei camion, sentì gridare: “Marco, sono Aldo, va a dire a mio papà Bastianin che sono su questo camion”.
Bastianin gestiva, con la moglie, un negozio di merceria. Immediatamente il bambino arrivò al negozio, apri la porta e gridò: “Bastianin, suo figlio Aldo è passato adesso su un camion”.
Bastianin uscì di corsa, saltò su una bicicletta e poiché da quel posto la strada verso Gavi fino alla Frazione di Sermoria è in discesa, riuscì a raggiungere quel camion, vide per qualche istante suo figlio Aldo che, da Mauthausen, non fece più ritorno.
Quel bambino “portatore del messaggio” ero io: Marco Traverso.
Oggi ho 85 anni e sono un giornalista in pensione.