Il percorso formativo di Avvento “Amo ciò che accolgo, accolgo ciò che amo”, proposto dalla Comunità pastorale san Guido in collaborazione con l’Ac interparrocchiale, è giunto martedì 13 alla terza tappa, svoltasi presso la Chiesa della Madonna Pellegrina.
Il momento centrale è stato dedicato all’ascolto della Parola, il brano di Matteo 11 e la figura di Giovanni Battista. A commentarlo è intervenuto Claudio Riccabone, educatore di AC e attualmente responsabile della Caritas di Canelli.
La quarta e ultima tappa del percorso si è svolta martedì 20 dicembre presso la chiesa di san Francesco: al centro l’accoglienza del “Dio che viene” (Mt. 1,18-24), con il commento di don Paolo Cirio. È seguita la celebrazione penitenziale con le confessioni.
Breve sintesi dell’intervento di Claudio Riccabone all’incontro di Avvento
Di fronte all’arrivo di tanti lavoratori stranieri malamente accampati in città disposti a condizioni inumane per poter lavorare e mandare due soldi a casa, proprio la domanda che si pone Giovanni Battista, ci ha sollecitato a domandarci chi è ora Gesù, per me, per noi, per la mia comunità, in questo momento storico? Rimane un mistero, quasi un personaggio letterario, o si incarna veramente, in qualcuno, in qualche categoria umana? Il dubbio mi attanaglia sempre: perché non si fa riconoscere più chiaramente? Cosa aspetta a manifestarsi direttamente… Ci saremo mica sbagliati, a credere davvero che questo Dio si sia fatto concreto e presente in mezzo a noi 2000 anni fa, e poi che continui a farlo ora?
Eppure è sufficiente “uscire da me stesso”, per scoprirlo nei volti di chi incontro per strada. La domanda allora diventa: io sarò in grado di riconoscerlo, nel prossimo intorno a me?
Lasciarci interpellare
La risposta di Gesù alla domanda di Giovanni (e nostra) è: “Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo… Di fronte ai migranti per lavoro la comunità ecclesiale (e non solo) si sentì interpellata da questa nuova situazione. Non era rispettoso della dignità umana, che lavoratori venuti a Canelli (e dintorni), non avessero neanche un tetto sotto cui dormire, dopo aver lavorato tutto il giorno. Si riuscì a mettere in piedi un locale, con una ventina di posti letto, servizi igienici e docce, una lavatrice, poco più che una goccia nel mare, ma comunque un “segno”, efficace (pur nelle enormi contraddizioni) per il crescere della consapevolezza dei bisogni, presso la comunità cristiana ed anche presso la comunità civile.
Vedere i segni
Gesù non dà una risposta secca (sì sì/no no), ma ci dice: guardatevi intorno. Ci lascia uno “spazio di libertà”: ogni decisione di fede, deve avere come condizione la nostra libertà di scelta. C’è un invito: sforzatevi di vedere i segni! C’è il chiaro riferimento alla profezia di Isaia (I lettura). Siamo noi i chiamati ad incarnare la bontà del Signore, ad agire nel mondo, per modificare quello che non funziona, le strutture di male, di peccato, a restituire dignità ed autonomia alle persone. Far rifiorire il deserto dei nostri cuori!
Il Vangelo riporta una espressione che ci lascia spiazzati: “beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!”. Ci siamo resi conto che per qualcuno era uno scandalo che la Chiesa decidesse di aprire le porte per aiutare degli stranieri, a volte anche sgradevoli, poco o per nulla grati, spesso ubriachi… Ci siamo scontrati molte volte con il giudizio pesante di qualche “anima pia”, con i pregiudizi ed il razzismo strisciante. Abbiamo cercato a nostra volta (e non sempre ci siamo riusciti) di non scandalizzarci per le reazioni contrastanti che abbiamo ricevuto, abbiamo cercato di restare sobri e “laici” nelle nostre valutazioni, conservando l’umanità e la compassione come criteri guida: non chiudere il cuore.
Oltre i pregiudizi, la logica di Dio
Gesù, con la sua parola e con le sue opere, è l’annuncio di una novità che entra pesantemente nella storia, attraverso vie e modalità nuove e imprevedibili, che riesce a cogliere a fondo solo chi è capace di abbandonare i pregiudizi e a volte, la “religione” (intesa solo come insieme di norme, codici, riti). Quando si accoglie una logica diversa, la logica di Dio, allora si comprende che proprio Lui è quello che deve venire: anche se non è quello che ci aspettavamo, anche se le risposte che dà o i suoi comportamenti non sono quelli che ci saremmo aspettati, secondo le logiche del mondo degli uomini!
Solo adesso stiamo cominciando a cogliere il senso “profetico” del cammino fatto: grazie all’esperienza di quei primi anni, è nata la Caritas interparrocchiale, con la consapevolezza che l’attenzione alla carità, alla solidarietà, costituisce un elemento fondante della comunità cristiana. Dalla prima esperienza di accoglienza, limitata ai periodi di presenza dei braccianti, ci siamo progressivamente strutturati sempre meglio: siamo passati ad un dormitorio aperto 12 mesi all’anno, rivolto anche a persone senza fissa dimora, migranti, braccianti, nuclei famigliari con problemi abitativi,… E progressivamente, sono nate le altre attività dell’associazione, che cercano di testimoniare l’attenzione verso le problematiche delle persone in difficoltà del nostro territorio, con l’attivazione di servizi come la distribuzione alimentare, la mensa di solidarietà, fino a concretizzare, in questi ultimi mesi, il progetto del Centro di Ascolto Caritas.
Riconoscere Gesù in chi arriva da lontano
Non è sempre facile riconoscere Gesù nel volto di chi arriva da lontano; il dubbio, la paura, il pregiudizio, sono una presenza costante. Eppure, accompagnati da questa incertezza, da queste debolezze, sentiamo forte l’esigenza di restare umani, di esercitare la nostra compassione, unico antidoto all’indifferenza ed all’egoismo. Siamo nati dalla parte “giusta” del mondo: questo ci dà una responsabilità enorme, quella di trovare il modo di condividere il poco o tanto che abbiamo con quelli che, in un modo o nell’altro, bussano alle nostre porte.