Il caro prezzi fa volare gli acquisti di cibo low cost con i discount alimentari che fanno segnare un balzo del +7,7% nelle vendite in valore, il più elevato tra tutte le tipologie distributive compreso il commercio elettronico.
Un risultato che evidenzia la difficoltà in cui si trovano le famiglie “nel tempo della guerra” che, spinte dai rincari, orientano le proprie spese su canali a basso prezzo e su beni essenziali come cibi e bevande. Con il conflitto Ucraina le quotazioni delle materie prime alimentari a livello mondiale hanno fatto registrare un balzo del 12,6% in un solo mese facendo registrare l’incremento più elevato mai registrato prima da quanto sono iniziate le rilevazioni nel 1990.
L’analisi Coldiretti evidenzia come nel mese di marzo 2022 si sia impennato al valore di 159,3 punti l’indice dei prezzi Fao che comprende un paniere di cinque prodotti agricoli di base. A tirare la volata sono i prezzi internazionali di oli vegetali, cereali e carne che hanno fatto registrare il massimo di sempre ma, in forte aumento, ci sono anche zucchero e lattiero caseari.
Nel dettaglio a marzo gli oli vegetali aumentano del 23,2%, i cereali del 17,1%, lo zucchero del 6,7%, la carne del 4,8% e i lattiero caseari del 2,6% rispetto al mese di febbraio, sotto la spinta dei pesanti rincari dei costi di produzione favoriti dai prezzi dell’energia.
Con la guerra rischia di venire a mancare dal mercato oltre ¼ del grano mondiale con l’Ucraina che insieme alla Russia controlla circa il 28% sugli scambi internazionali con oltre 55 milioni di tonnellate movimentate, ma anche il 16 % sugli scambi di mais (30 milioni di tonnellate) per l’alimentazione degli animali negli allevamenti e ben il 65% sugli scambi di olio di girasole, 10 milioni di tonnellate.
Senza la fine della guerra le semine primaverili di cereali in Ucraina saranno praticamente dimezzate su una superficie di 7 milioni di ettari rispetto ai 15 milioni precedenti all’invasione mentre le spedizioni dai porti del Mar Nero sono bloccate dalla Russia che peraltro ha minacciato di non fornire più cibo ai Paesi considerati ostili.
L’Italia negli ultimi 25 anni ha perso ¼ della propria superficie coltivabile per colpa dell’insufficiente riconoscimento economico del lavoro in agricoltura. Il risultato è che l’Italia è obbligata ad importare il 64% del grano per il pane, il 44% di quello necessario per la pasta, ma anche di mais e soia, fondamentali per l’alimentazione degli animali, con i raccolti nazionali che coprono rispettivamente appena il 53% e il 27% del fabbisogno italiano.