«Nei mesi scorsi noi utenti di Whatsapp abbiamo ricevuto un messaggio particolare:
Whatsapp ha segnalato che dovevamo accettare nuovi termini per la condivisione di informazioni con Facebook, pena la cessazione del servizio.
O si mangia la minestra o si salta dalla finestra. Molti giornali hanno ripreso la notizia, e si è sollevata sui media una grande discussione; non pochi hanno deciso di non usare più Whatsapp e passare ad altri sistemi, tanto che Whatsapp ha fatto per ora marcia indietro e, più recentemente, ha ritenuto di comunicare con gli utenti in maniera più diretta, guarda caso proprio sui temi di privacy.
La vicenda ha fatto molto scalpore; per capire chiaramente cosa c’è in ballo abbiamo chiesto aiuto a uno dei soci Sloweb – Enrico Ferraris, avvocato esperto nella protezione dei dati personali, che riassume così:
1. Grazie alla legislazione Europea vigente, nulla cambia per gli europei. Molto cambia però per gli altri: i dati raccolti tramite Whatsapp sono passati al cugino Facebook (FB), e gli servono per dare / imporre all’utente FB pubblicità più personalizzata, cioè più efficace e mirata, che genera maggiori profitti.
2. Dal 2014 Whatsapp e Facebook sono entrambi – con Instagram! – di proprietà di Zuckerberg, che peraltro nel 2014 si era impegnato a mantenere separati i dati raccolti dai diversi servizi cugini. Ma chiediamoci, non sarebbe il caso, piuttosto, di rompere questi monopoli, come si era fatto con la telefonica AT&T, con le società petrolifere, e molte altre volte, con aziende anche molto più piccole?
3. Anche altre piattaforme raccolgono dati, e sono anch’esse spesso macchine di pubblicità, ma non tutte lo sono in modo uguale.
4. Su Whatsapp per esempio i messaggi sono “leggibili” solo dal mittente e dal destinatario, ma i metadati – con chi ho parlato, quando, per quanto, da dove… – sono a disposizione dell’operatore, come peraltro, attenzione, capita per un operatore GSM, tipo Vodafone. Su altre invece la cifratura è fornita solo a chi la chiede – e se non te ne ricordi quello che dici sarà scrutato per capire che target tu sia, cosa ti si potrebbe vendere – e così via.
Dunque, dovremmo quindi preoccuparci? Se crediamo che la libertà si difenda con i muri e bastino le leggi, no. Se vogliamo proteggere noi proteggendo anche “il prossimo”… i miliardi di persone che oggi non sono protette, e i nostri diritti, sì, e subito.
È difficile suggerire cosa fare, e non proprio corretto. In primis comunque, chiediamoci se tutto questo chiacchierare sia proprio necessario, riduciamo la produzione di dati digitali e lo spreco di tempo, facciamo digital detox».
Pietro Jarre – Associazione Sloweb www.sloweb.org
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