Cairo M.tte. «Noi non chiediamo la riapertura immediata dell’ospedale, siamo persone responsabili. Chiediamo che, finita questa terribile emergenza, venga riaperto l’ospedale, anzi potenziato e che tutto il personale rientri nella sua sede». È il grido d’allarme lanciato dagli operatori sanitari dell’ospedale di Cairo che hanno inviato una lettera al premier Giuseppe Conte, al ministro della Sanità Roberto Speranza, al presidente della Regione Liguria Giovanni Toti, all’assessore regionale con delega alla Sanità Sonia Viale, al presidente della Provincia di Savona Pierangelo Olivieri, al sindaco di Cairo Paolo Lambertini e al commissario straordinario Asl 2 Paolo Cavagnaro.
«Siamo gli operatori sanitari, dipendenti di questo ospedale, che è stato svuotato dall’oggi al domani di tutto il personale e chiuso – inizia cosi il documento. – Noi dipendenti, così come tutta la popolazione, abbiamo saputo della chiusura dai giornali. Ci rendiamo conto della tragedia che sta attraversando il nostro paese e il mondo intero. Chi più di noi può rendersene conto?».
Non hanno pretese gli operatori sanitari di Cairo, consapevoli dei problemi scatenati dalla pandemia in atto, ma vorrebbero un po’ più di attenzione: «Abbiamo, tuttavia, bisogno di risposte, come cittadini e come lavoratori. – continua la missiva – Vista l’emergenza sanitaria, abbiamo più volte proposto all’Asl 2 Savonese di utilizzare i 70/80 posti letto disponibili presso il nostro presidio per ospitare tutti i pazienti NO Covid-19, in modo da creare un ospedale “pulito” per poter potenziare gli altri ospedali di Savona, Pietra Ligure e Albenga. Tutto il personale, come sempre, si è reso disponibile ad attivarsi perché ciò accadesse».
Una situazione un tantino anomala che di per se stessa ingenera più di un interrogativo: «Non sarà che dietro a questa immane tragedia qualcuno cerchi in tutti i modi di favorire i privati? – proseguono gli operatori sanitari – Non ci sono mai soldi per la sanità pubblica, anzi, solo tagli. Doveva arrivare il Coronavirus per farci capire che senza operatori sanitari la gente muore? Non ci interessa essere chiamati eroi in questo momento e poi essere dimenticati alla fine di tutto».
Si fa inoltre notare come la Valbormida sia distribuita su un territorio molto vasto con esigenze diversificate: «La Valbormida conta all’incirca 40 mila abitanti che sono rimasti privi di qualsiasi servizio, primario e secondario, e non è stata neppure attivata la seconda automedica del 118, nonostante la chiusura del Punto di Primo Intervento. Il territorio è molto vasto: ci chiediamo, quindi, se il 118 è impegnato e qualcun altro ha bisogno che fa? Muore? Il primo ospedale disponibile più vicino è a 40/ 50 km di distanza a seconda della zona di partenza. Vi ricordiamo che le persone non muoiono solo di Coronavirus».
«La Val Bormida rivuole il suo ospedale e il personale vuole tornare a lavorare come ha sempre fatto. – concludono gli operatori sanitari – Non togliete ai cittadini di questa valle anche il diritto di potersi curare. Continuate a dirci di stare in casa. Ovviamente noi non lo possiamo fare; avremmo potuto, però, fornire un servizio efficiente nel nostro ospedale a qualsiasi tipo di esigenza, invece si è preferito chiudere un intero ospedale e mandare il personale altrove. Noi siamo disponibili nell’emergenza a stravolgere le nostre vite, il nostro lavoro. Vogliamo sentire che le istituzioni non ci hanno abbandonati per l’ennesima volta. Ai cittadini non interessano i retroscena della politica, le manovre fatte solo per il denaro».
La lettera, corredata da 157 firme, è stata inviata anche ai 18 consiglieri regionali ma finora ha ricevuto solo due risposte, quella dal consigliere regionale Pd, Mauro Righello, e quella del sindaco di Cairo, Paolo Lambertini.